L’AUSTERITA’ NON RISOLVE LA CRISI

E’ oramai fuori dubbio che l’austerità non è la soluzione ai problemi della crisi, piuttosto la aggrava. Ma manca il coraggio di indicare una alternativa e di realizzarla.

Più precisamente diversi ci provano, ed è il caso dei lavoratori di Ideal Standard; ma tanti esempi dimostrano che troppi fanno finta di niente. E perseverano.

E’ quest’ultima la patina dell’Italia di mezzo: quella che vive di varie rendite. Che non vuole scegliere ma che invece, con i suoi “son tutti uguali” oppure con “quel tanto non cambia niente”, sceglie. Eccome se sceglie. L’indifferenza o l’opportunismo non sono figlie della crisi. Sono componenti di una cultura che fa fatica a scomparire.

Occorrerebbe indagare sugli ultimi 150 anni della nostra storia: sulla genesi e sulle volubilità dell’incerta borghesia nazionale, sulle caratteristiche dello sviluppo casalingo che pure ha manifestato momenti straordinari, ma che è stato anche l’esito di sgradevoli accomodamenti. Sulle doppiezze dei nostri cambiamenti, sulla strutturazione delle classi sociali e delle tante e troppe disuguaglianze che si sono accumulate nel tempo.

Nel paragone con gli altri Paesi europei siamo troppo deboli negli assetti portanti e si trascurano le regole nella individuazione dei “migliori” che ci affranchi anche dalla odiosa pratica della clientela.

Si disprezzano i luoghi che possono aiutare i livelli di governo, ritenendoli delle perdite di tempo e non si vuol capire che soprattutto nei momenti di crisi possono funzionare da collante della società civile. E le vicende Ideal-Standard ora e prima Electrolux lo confermano.

Noi diciamo da anni che in questo paese è in atto un grande declino industriale. Ci abbiamo messo, come adesso va di moda, molte volte la faccia con tante iniziative e con scioperi. Siamo stati veloci nelle denunce e nelle proposte, che allora non abbiamo sentito da quelli che oggi considerano la rappresentanza sociale un inutile ingombro.

Creare lavoro e contrastare la disoccupazione rimangono le priorità. Anche per difendere e sostenere il nostro sistema di protezione sociale: di cui possiamo, pur tra mille criticità, andare fieri. Anche per proteggere e qualificare la democrazia svincolandola dalle oppressioni, fintamente libere, del mercato.

Quel “mercato” che non è stato e non è in grado di rivitalizzare alcuni settori fondamentali dell’economia italiana. Di individuare imprenditori capaci di “salvare” una attività come quella che porta il marchio Ideal-Standard e di rilanciarla. Magari fra coloro che hanno accumulato nei periodi “gloriosi” del bel paese e che non hanno mai investito un euro e che sono ben distribuiti in tutto il territorio nazionale.

Non deve sconcertare se ci stanno pensando i lavoratori. Nonostante le leggi sul mercato del lavoro e sulle pensioni che li ha penalizzati e che “l’Italia di mezzo” considera gli autori della rovina nazionale, perché – si afferma – essere titolari di ingiusti diritti.

Sopravanzano le miopi convinzioni sull’art. 18 quando servirebbe guardare altrove. A sostenere la scelta di quei 18 lavoratori che vogliono indicare una prospettiva.

Rilanciando un etica: quella del lavoro. Che decenni di spregiudicatezza politica ed economica ha abbruttito.

Quell’etica ha motivato i lavoratori e le lavoratrici di quella multinazionale. Che, come sono riusciti prima quelli di Electrolux, hanno saputo sviluppare un intelligente e responsabile lavoro collegiale assieme alle loro rappresentanze sindacali aziendali.

Del lavoro e della sua drammatica condizione ci si dovrebbe occupare insistentemente in ogni sede istituzionale. Evitando copiose produzioni cartacee e selezionando gli interventi.

Fornendo e sostenendo buoni esempi per restituire fiducia a chi non si rassegna. Non affidarsi alla sorte nella convinzione che, prima o poi, il mercato ci penserà. Su questo si misura la “nuova” classe dirigente di un paese. Dalla capacità di concretizzare ed aiutare soluzioni che in luogo di defatiganti dibattiti parlamentari sugli assetti ordinamentali dello Stato traduca quell’art. 1 della nostra Carta fondamentale: “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

In quella parola “sovranità” ci stanno molte risposte. Comprese quelle che vogliono la preferenza nelle elezioni e la fine delle politiche di austerità.

Anche per questo alcune settimane fa sono stati depositati, a questo fine, quattro quesiti referendari che propongono l’abrogazione di alcuni passaggi della legge 243 del 2012 (sul pareggio di bilancio) perché è una legge che ha imposto vincoli aggiuntivi al nostro Paese rispetto alle stesse norme europee, rendendo ancora più stringente il principio dell’equilibrio di bilancio. Insomma scegliere una alternativa vera non quella “di mezzo”.